La quotidianità è costruire i dettami per rafforzarsi e diventare una città Padrona della sua stessa casa. Marco Toso Borella per #RiscrivereilFuturo
Continuiamo con il dibattito per la rinascita di Venezia e con nuove interviste per #RiscrivereilFuturo, il progetto a cura di Venezia da Vivere e Associazione Piazza San Marco. Abbiamo il piacere di presentare l’artista muranese Marco Toso Borella: pittore su vetro nella continuità di antiche tradizioni familiari, scrittore, ricercatore storico e direttore del coro più numeroso d’Italia, la Big Vocal Orchestra e dei Vocal Skyline, con oltre 300 membri.
VDV: Come immagini Venezia nel futuro?
Il sistema è saltato. Non esistono più i punti cardinali di un tempo: si sono spretati. Quindi inutile se non dannoso tentare di ripristinarli a tutti i costi “com’erano e dov’erano” in tempi brevi. Sarebbe come lottare per mantenere aperte le macellerie in un mondo in cui tutti sono improvvisamente diventati vegetariani.
Venezia non deve tornare a essere la Venezia che era fino a due mesi fa, ma la Venezia che fu fino a due secoli fa, cioè un diverso pianeta sulla terra, un universo a sé stante che ha modificato nei secoli il corso della storia: non sono un revanscista, o un illuso che auspica il ritorno della Serenissima o delle candele al posto delle lampadine. Credo invece che dobbiamo recuperare l’innata essenza di questa città, il suo ruolo di protagonista della storia mondiale.
Venezia sorse quando l’impero romano crollò, creando un’oasi di divergenza rispetto al mondo circostante attraversato da decine di invasioni nei secoli: rese abitabili isole sperdute, piantò milioni di pali per erigere palazzi e case, deviò e convogliò fiumi per preservare la propria laguna, costruì barriere artificiali per difendersi dal mare. Fece di tutto per impedire che il mondo circostante la “contagiasse” nella mente e nei corpi dei suoi abitanti. E lo fece, paradossalmente, senza chiudere mai le sue porte, nemmeno in tempo di guerra.
Venezia fu porto aperto, di persone, di arte e di cultura, ma ogni “alieno” ci doveva fare i conti, doveva porsi al cospetto di essa con rispetto, addirittura con timore. Venezia divenne un alibi, etimologicamente parlando, ossia un “altrove”. E può ancora esserlo proprio a partire dalla sua più grande ricchezza: l’Arte. Ma non un’arte contemplativa, bensì un’arte generativa.
Venezia non può essere considerata reliquia, ma deve essere monumento vitale. Un monumento attivamente percorso dai suoi abitanti, che devono essere il sangue che scorre, pulsante, ogni giorno. Abitanti che devono essere memoria e futuro.
Dobbiamo ribadire ogni giorno che è il futuro che deve cambiare, non la città. Perché quando il futuro non cambia diventa Futurismo e allora si vogliono cementificare i canali per far scorrere “gli automobili”, come auspicava Marinetti. Quando il futuro diventa Futurismo si scavano i canali delle petroliere, si allestiscono gli impianti chimici a poca distanza dalla Basilica di San Marco, si fanno passare i transatlantici davanti a Palazzo Ducale, davanti alla città più delicata del mondo: si portano gli elefanti nelle cristallerie. Quando il futuro diventa schifoso, lo si trasforma in presente. Si trasforma VENEZIA in #@venice, disperata maîtresse che fino a ieri non trovava abbastanza amanti prezzolate per le infinite carovane di turno e che oggi piange l’imprevisto tempo della “castigazione”.
VDV: Cosa possono fare la politica e i cittadini per una rinascita di Venezia?
La politica è il cittadino. Il cittadino è la politica. Bocca e resto del corpo fanno parte dello stesso organismo. La bocca è lo strumento con cui il corpo manifesta e dichiara i propri intenti. La bocca procura sostentamento al corpo. Non viceversa.
I problemi esistono perché la bocca (la politica) non è più lo strumento del corpo (il cittadino), ma viceversa. Oggi il cittadino sta solo riempiendo la sua bocca, senza che essa distribuisca ciò che riceve a beneficio dell’organismo di cui lei stessa fa parte (la città, lo Stato).
Politica e cittadini stanno ipnotizzandosi a vicenda pensando solo a come tornare quelli di prima, dopo che un treno ad altissima velocità virale li ha travolti assieme a quelle che sembravano certezze. Per una rinascita di Venezia il cittadino deve ricordarsi di essere un politico e il politico non deve dimenticare che è la voce del cittadino.
Venezia deve diventare il Banco che dà le carte, non il tappeto verde su cui scaraventare dadi e fiches da parte di chi il Banco se lo è comprato. Venezia non la si può vivere da casa propria e, tantomeno, si può trasformare Venezia in casa propria. Sempre più si parla di Venezia senza conoscerla, si alimenta la conoscenza virtuale senza far capire il senso reale delle cose.
Basta agghindare la città come una vecchia bagascia, per offrirla al magna magnate di turno, che si affitta a suon di milioni Palazzo Ducale per i suoi ricevimenti siliconati.
Basta parlare di nuove frontiere, di brand, di filiere… Format ripetuti fino alla noia da “specialisti del settore” capaci solamente di scrivere “Venezia“ o il nome di qualunque cosa sui trattini in bianco dei loro argomenti prestampati da anni: per loro ogni argomento è uguale, tutto è intercambiabile, anche i pezzi unici.
Se qualcuno mi sa dire un fenomeno artistico, il nome di un artista, di un’idea scaturita da Venezia nelle ultime edizioni delle infinite Biennali cui siamo costretti ad assistere, gliene sarei grato.
Eventi e Fenomeni scollegati dalla città e dai suoi abitanti, utili solo a creare visibilità e nuovi contatti ai molti Curatori/profeti e ai loro protetti, che trasformano Venezia in cornice inebetita di pseudo istallazioni artistiche visitate solo dagli invitati al megaparty d’apertura.
Chiedo: Venezia la si conosceva prima del suo Festival del Cinema? Azzardo un sì. E Cannes? La si conosceva prima del suo Festival? Ma loro hanno i film che non ci piacciono, quelli che fanno incasso, mentre nel nostro Festival d’élite abbiamo la genesi della ripresa d’autore con il filtro del dottor Spock sull’obbiettivo Zeiss. Salvo poi vedere i fotografi scodinzolanti ad attendere il taxi all’Hotel Excelsior con il belloccio americano di turno, protagonista dell’unico film di cassetta ospite. Ma noi siamo Venezia… Basta con l’Arsenale trasformato in tinello avulso ospitante cose che non sono nemmeno definibili.
Dispiace dirlo, ma il re è nudo. Lo è sempre stato. Bisogna semplicemente dire al dottore che ha portato il paziente Venezia in questo stato che non può essere lo stesso a tirarla fuori. Qui c’è qualcuno che ha messo i piedi nel piatto filettato d’oro che è la città senza nemmeno togliersi gli stivali chiodati dello stilista di turno.
VDV: Proponga un’idea specifica in almeno uno di questi ambiti: ambiente, residenzialità, lavoro, cultura, sicurezza, turismo.
Perché? Pianifichiamo il famoso piano B sperando con tutto il cuore in un immediato ripristino dell’antico piano A? Gli Aztechi aspettavano il ritorno di Quetzalcoatl, il Serpente Piumato, per poterlo adorare di nuovo. E tutta la loro esistenza era mirata a poterlo accogliere nel migliore dei modi.
La domanda è, in realtà: “Desideri formattare l’Hard disk Venezia per migliorarne le prestazioni?” Perché questo bisogna fare, non gestire l’intanto. Mi metto in attesa anch’io, quindi, accomodato sulla riva, che torni di nuovo il nostro Quetzalcoatl, magari su un transatlantico, che porterà a tutti i residenti di “Venessia” i doni del Paradiso, sperando che il Serpente Piumato in realtà non sia, come fu per gli Aztechi, Hernan Cortés?
Una sola leva per rialzare l’intera città: il cittadino-politico veneziano deve ricordarsi l’unicità del luogo di provenienza. Deve essere Venezia che regola i modi dell’ospite, rendendolo partecipe della sua specificità e non viceversa. Partiamo dai veneziani, dalle esigenze quotidiane di chi vive e abita questa città, partiamo dall’arte, dall’artigianalità, dalla produttività che questa città sa ancora esprimere e solo poi, in un secondo momento, pensiamo ad accogliere l’”alieno”.
E facciamo in modo che sia il turista ad adattarsi ai nostri rituali, a pagarsi i suoi trasporti e ad attendere in coda agli imbarcaderi, giusto per fare un esempio concreto. Perché a Venezia e solo a Venezia viene detto ai cittadini che è l’ospite a pagare ciò che di diritto spetta al padrone di casa?
I servizi pubblici per i “cittadini fissi”, sono – ovunque nel mondo – parte dei “costi fissi” di una città, e devono quindi esistere a prescindere dal “surplus” di chi viene a visitarla, che dovrà pagarsi, a parte, ciò che gli serve. Il turista è “cittadino variabile”, e deve essere obbligatoriamente “costo variabile” della città. Facciamo sì che Venezia non sia più solo la città che tutti sognano di visitare ma, al contrario, che diventi la città in cui tutti sognino di vivere. Questo è il vero turismo sostenibile. Ritornando alla metafora dell’incipit: dispiace per i macellai a tutti i costi in un mondo diventato di vegetariani.
E ve lo dice un carnivoro.
Marco Toso Borella, artista muranese.
Leggi tutte le interviste
Foto di copertina di Dave Krugman.
Come immagini Venezia nel futuro?
Leggi tutte le interviste su:
www.veneziadavivere.com
www.associazionepiazzasanmarco.it
Facebook @sanmarcopiazza
Facebook @veneziadavivereofficial
Instagram @veneziadavivere
Instagram @sanmarcopiazza